Se il cane è il miglior amico dell’uomo, come tutti dicono, perché l’uomo vuole che gli ubbidisca?
Quindi, un amico per essere tale deve obbedire?
Una delle principali difficoltà che mi trovo ad affrontare nella mia attività è rappresentata dal fatto di dover spiegare in cosa consiste il mio lavoro. Nonostante, infatti, la figura dell’educatore cinofilo esista nel panorama della cinofilia italiana da circa venti anni, la percezione di questa professione, genericamente e generalmente parlando, si concretizza nella richiesta di rendere il cane ‘obbediente’ ai ‘comandi’ del proprietario ponendo in tal modo fine ai problemi che crea.
Perché sono rare le persone che si rivolgono all’educatore cinofilo per avere consigli su come vivere bene con il proprio convivente a quattro zampe? Perché sono rare le persone affascinate dalla diversità e dalla bellezza della specie che convive con noi da migliaia di anni nonostante questa diversità?
Lascio la risposta più colta e profonda ad altri – antropologi, etologi, sociologi, psicologi – e mi limito a un’osservazione forse superficiale ma credo abbastanza esauriente. La percezione di cui sopra, e la tendenza generale a vivere con i cani sotto il segno della gerarchia e dell’obbedienza, deriva dalla doppia natura del processo di coevoluzione tra cane e essere umano, che è di domesticazione e di possesso. Questa duplicità insita nella relazione, porta con sé elementi diversi e contrastanti fra loro: da un lato, affiliazione, adozione, epimelesi, socializzazione incrociata, tendenze allomimetiche; dall’altro, senso di proprietà e di dominanza. Il cane, in altre parole, è un essere vivente che fa parte della famiglia umana che detiene nei suoi confronti un potere che la affranca da obblighi: le cure e l’affetto che vengono prodigati verso l’eterospecifico non collidono, in tal modo, con la richiesta di obbedienza.
Il lavoro dell’educatore cinofilo si inserisce in questa contraddizione, e in base alla formazione e al carattere del singolo professionista sarà più o meno teso a sbilanciare il rapporto tra elementi di possesso (e quindi obbedienza e adesione alle richieste degli umani) e elementi di relazione (e quindi ascolto e comprensione dei bisogni etologici del proprio convivente a quattro zampe e ricerca di un piano compromissorio di con-vivenza), in favore di questi ultimi.
Inoltre, a seconda della formazione e del carattere del singolo professionista, verranno più o meno utilizzati alcuni strumenti - cibo, collare o pettorina, guinzagli lunghi o corti, etc etc. - per raggiungere lo scopo dell'obbedienza (comunque la si chiami, tale rimane: se chiedo a qualcuno di fare una cosa, che glielo chieda gentilmente o con la forza, gli chiedo in entrambi i casi di obbedirmi) o della buona convivenza (che si può raggiungere anche utilizzando il cibo come premio, ma che differisce a livello profondo e sostanziale dalla buona convivenza raggiunta esclusivamente attraverso la comunicazione).
Il primo compito dell’educatore cinofilo consiste, ritengo, nel tentativo di attuare un ribaltamento della concezione del cane: da oggetto di possesso a compagno di vita, da essere cui imporre un modus vivendi e operandi che soddisfi le esigenze dell’essere umano a essere vivente in grado di pensare e provare emozioni, con cui necessariamente imparare a comunicare per instaurare una conversazione in cui ciascun soggetto di dialogo ha pari dignità, diritti e bisogni.
Raggiunto questo, si può poi parlare di strumenti. Se non si capisce questa differenza, ogni strumento è sbagliato.
Alessandra Scudella