Bizzarra è la similitudine estetica fra le celle delle carceri umane e i box dei canili. Grate, sbarre, cemento, moduli lineari senza soluzione di continuità, anonimato architettonico.
I materiali e la tipologia delle costruzioni, per quanto riguarda i canili, rispondono a un’esigenza sanitaria, assurta fin dalla loro istituzione (con la legge 281 del 1991) a criterio principe intorno al quale strutturare luoghi che avrebbero dovuto, nelle intenzioni del legislatore, rappresentare la salvezza dalla morte fisica cui i randagi e i senza proprietari erano condannati e, al contempo, il passaggio a una nuova vita in famiglia.
Il risultato, senza girarci troppo intorno e salvando le eccezioni, che per quanto numericamente limitate esistono, è che abbiamo salvato i cani dalla morte fisica condannandoli a uno stato di non vivi e non morti, giacché in moltissimi, troppi casi i canili rappresentano un carcere a vita dal quale non usciranno mai. O usciranno per rientrarvi, a causa di adozioni non consapevoli. O usciranno per andare in altri canili, o in luoghi di stallo, o chissà dove altro. In moltissimi canili non escono nemmeno dai box, mai, per tutta la durata della loro vita o della loro permanenza nella struttura.
L’estetica dei canili, quando regolari, è dunque sostenuta da asetticità e possibilità di detergere, disinfettare e muoversi nei e tra i box il più agevolmente possibile.
L’asetticità è un mito moderno, sul quale psichiatri, sociologi e antropologi avranno sicuramente versato ben più nobile inchiostro, e non rappresenta di per sé garanzia unica di pulizia, assenza o difficoltà di trasmissione di malattie. Perché se non c’è prevenzione e cura sanitaria, tutti i disinfettanti del mondo, a meno che non si parli dell’acido muriatico, non sconfiggeranno germi e batteri e virus i quali, viceversa, possono essere assenti in rifugi e canili dove i cani non stanno nei box asettici di cemento, dove diventerebbe pazzo anche un moscerino, ma in recinti con la terra e l’erba e sono sottoposti alla prevenzione di base e alle analisi di routine con regolarità.
Questa estetica è, appunto, cosmetica, in quanto non tiene conto di considerazioni e aspetti etici.
Uno degli aspetti più importanti del punto di vista morale sul mondo è la cura, che consiste in uno sguardo attento e responsabile nei confronti dell’altro e che si concretizza in azioni volte al suo benessere.
Il processo della cura passa attraverso azioni intellettive e emotive che implicano il riconoscimento dell'altro, la percezione dei suoi bisogni e le conseguenti azioni pratiche per soddisfarli, il contatto anche fisico con chi riceve la cura e, soprattutto, l'ascolto.
A differenza di quanto possa sembrare, la dimensione della cura non è confinata alla sfera relazionale intima, ma si estende, o dovrebbe estendersi, soprattutto a quella sociale e politica.
I luoghi raffigurati nelle immagini sottostanti sono accomunati dalla mancanza della dimensione etica e di quell'aspetto particolare della bioetica che è la cura, che nessuna legge dello Stato può sancire, giacché nasce esclusivamente dalla buona formazione e dal senso estetico.
Art. 27 comma 3, Costituzione italiana:
"Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. In Italia non è ammessa la pena di morte".
Legge 281/91, Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo:
Art. 1 comma 1:
"Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente".
Art. 2 comma 2:
"I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture di cui al comma 1 dell'articolo 4, non possono essere soppressi".
Discorso di Filippo Turati alla Camera, 18 marzo 1904:
“Le carceri italiane... rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta: noi crediamo di aver abolita la tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura la più raffinata; noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che ammanniscono a goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; “noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori....”.
Alessandra Scudella