Questo non è un test, perché non è stato formulato secondo criteri scientifici né sottoposto a un campione statisticamente significativo di individui.
Ciò nonostante, quel che segue potrebbe avere ugualmente un senso.
Perché il peluche suscita una sensazione e un moto di tenerezza, se non più almeno nella stessa misura del cane alla catena?
Il peluche è finto, mentre il cane non solo è vivo, ma soprattutto è triste nella sua condizione di prigionia. Non dovrebbe suscitare tenerezza quest'ultimo?
Occorre compiere un atto di volontà per tacitare la sensazione di tenerezza verso il peluche e portare in primo piano il cane a catena. Quindi, l'istinto (o comunque lo si voglia definire) conduce da una parte, e la ragione (o comunque la si voglia definire) da un'altra. Opposta.
Spiegazioni possibili:
Il peluche sembra un cucciolo, ha forme tondeggianti e cicciottelle che soddisfano il gusto umano per la neotenia, e l'aria sognante e infantilmente interrogativa verso l'osservatore. È in aperta attesa verso il mondo. Il cane alla catena è triste e sembra anziano, guarda in basso e non chiede nulla. È silente e chiuso in se stesso.
Le immagini mentali che si formano in seguito all'osservazione sono di azione manipolatoria di tipo affettivo verso il peluche e di disagio e difficoltà nei confronti del cane a catena. Il peluche, in altre parole, "invita" ad essere preso e stretto tra le mani e al petto, sia in se stesso, come peluche, sia come metafora di cucciolo di cane reale, vivo. Il cane a catena "chiede" attenzione, silenzio, concentrazione.
Il peluche suscita emozioni positive - tenerezza, affetto - il cane a catena invece negative - tristezza, solitudine.
Ergo, dove è naturale dirigersi emotivamente?
Forse tutte le ipotesi denunciano un condizionamento di tipo educativo.
Se fin da bambini, in questa fetta di mondo, fossimo educati a conoscere, rispettare e creare relazioni con gli esseri viventi oltre che con i loro simulacri (senza nulla togliere al gioco con gli oggetti, bene inteso), forse la prima risposta, quella che si è giudicata istintiva, sarebbe la seconda, quella che si è definita razionale. Forse, in altre parole, subiremmo in misura minore la fascinazione di ciò che è simile ma non è vivo e saremmo più attenti sia in senso cognitivo sia in senso emotivo verso tutti coloro che abitano questo pianeta, a qualunque specie appartengano.
Mi sembra possa essere anche questa una delle numerose chiavi di lettura dello splendido libro per bambini (???), "Il giardino dei musi eterni" di Bruno Tognolini, in cui si parla, tra le migliaia di cose meravigliose che sono narrate, anche di peluche che trattengono negli occhi le anime degli animali defunti e che, dopo aver ipnotizzato e ammaliato i bambini per la loro veridicità (o verità?), li sprofondano nella paura e nella tristezza, perché a quella promessa di vita contenuta negli occhi non corrisponde una vita vera.
Alessandra Scudella