It's me

Mario Miccoli, Uomo cane, olio su cassetta di legno.

"Anerkuon ASD" è un'associazione sportiva dilettantistica il cui obiettivo principale è la qualità di vita delle persone e dei cani."

La relazione senza aggettivi

In cinofilia, da quasi due decenni nell'area che si definisce cognitivo-zooantropologica-relazionale, in tempi più recenti anche in quella dell'addestramento, si parla di relazione, considerandola l'obiettivo e al contempo lo strumento di una convivenza interspecifica sana e sensata.
È davvero così?
No. 
 
La relazione senza aggettivi non esiste.
 
 
La relazione senza aggettivi non è automaticamente buona e sana, anzi, può nascondere le peggiori nefandezze, di cui siamo capaci come specie massimamente capace e incline alle nefandezze.
La relazione deve essere qualificata da aggettivi precisi per essere "buona", il più importante dei quali è EQUILIBRATA. Perché anche l'aggettivo COOPERATIVA, senza equilibrio, non garantisce nulla: ho visto spacciare per collaborazione richieste e segnali (perché dire "ordine" o "comando" fa brutto) di ogni genere in ogni momento della vita dei cani, solo perché questi, bene istruiti (perché dire "addestrati" fa brutto), rispondevano alle richieste e ai segnali.
 
La relazione deve innanzitutto basarsi su un paio di concetti: esiste fra due esseri viventi che sono individui a pari titolarità di diritti anche se in una situazione di asimmetricita'; e AVVIENE, nel senso che è in continuo divenire.
Quindi, se uno dei due - l'umano, non giriamoci intorno - si sente superiore o più titolare di diritti dell'altro, siamo in una relazione padrone-servo.
Se uno dei due - l'umano - non pone alcuna regola né rispetta alcun limite, siamo in una relazione malata, sbilanciata. E le varietà tipologiche di questo genere di relazione sono innumerevoli (da quella vicariante fino al disturbo di accumulo compulsivo).
 
Un ulteriore tranello si annida nel pregiudizio che accompagna il concetto di relazione : se c'è relazione c'è affetto, se non c'è affetto non c'è relazione.
Non è così.
 
Ho visto persone tenere a collare a strozzo e strattonare i loro cani e amarli, senza accorgersi della contraddizione ma, al contrario, convinte di educarli e tutelare la loro sicurezza; persone accogliere cani nelle loro case, creando convivenze e vicinanze problematiche e pericolose, privilegiando la sicurezza della casa rispetto al benessere della vita; persone trattare i loro cani come figli, con gli occhi che brillavano di amore e felicità.
Tutte avevano una relazione con i loro cani (ovviamente non mi riferisco a situazioni estreme, né parlo di relazione positiva - anche il male, come il bene, ha le sue nuance).
 
Il punto vero è uno solo: ognuno di noi fa quello che sa e quello che è.
Per questo scegliere di vivere con un cane o un qualunque animale domestico (esistono, non credo di essere proprio felice di questo, ma esistono perché li abbiamo creati noi e forse dovremmo farci un po' di conti con questa faccenda), anche un diamantino o una tartaruga o un qualsiasi altro animale apparentemente meno relazionale del cane, dovrebbe obbligarci a un minimo di studio e a un esercizio di critica, autocritica e di ricerca della consapevolezza. Per sapere un po' di più ed essere leggermente migliori.
Chi sono io, cosa cerco in questa convivenza, perché voglio un cane al mio fianco, quali sono le mie aspettative, cosa posso garantirgli, sono disposto a renderlo felice, quali sacrifici posso mettere in conto. Et cetera et cetera et cetera.
Prima di farlo entrare in casa e per tutta la durata della vita in comune.
 
Mi sembra di aver capito, in tutti questi anni di convivenza e lavoro con i cani e per i cani, che queste potrebbero essere le premesse migliori per limitare i danni che possiamo arrecare a loro e a noi stessi, nonché la base per cercare di creare una relazione equilibrata.
Nella quale, prima di fare o chiedere qualunque cosa ai nostri cani, dobbiamo farci tre domande:
- come starei io nella stessa situazione?
- se io stessi bene, starebbe bene anche il mio cane?
- se il mio cane non stesse bene, cosa sarebbe meglio io facessi?
Sono tre buone domande, mi sembra, anche per noi che lavoriamo con e per i cani.
Da porci prima di decidere lo sport da proporre ai clienti, di mettere insieme i cani nelle classi o fare incontrare loro anche un solo cane, di insegnare il seduto-terra-resta. E dopo aver studiato, tanto, confrontandosi con chi ne sa più di noi non solo nella parte della cinofilia che abbiamo scelto, neofiti, senza scegliere davvero, il più delle volte. Dopo, soprattutto, aver capito che l'etogramma (cioè il "catalogo" dei comportamenti di una specie) non è un'opinione, né una lettura come un'altra. Le interpretazioni sono un'altra cosa, e non si equivalgono, a meno che non siano orientate al bene del cane.

Non è figo, né da fighi, far fare al cane quel che vogliamo. O pensiamo sia meglio per lui.

 

Alessandra Scudella

 

Ph: Briton Rivière - Il suo unico amico, 1871

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