L’articolo Tentativi di (ri) costruzione, mostra come le reazioni più diffuse ai dolorosissimi fatti di cronaca che hanno visto cani e umani protagonisti si sono attestate su due posizioni antitetiche: “alcune razze/i cani sono pericolosi” ed “è colpa degli esseri umani”. Alla polarizzazione concettuale si è subito affiancata, inasprendosi, la polarizzazione tra addestratori ed educatori/istruttori cinofili.
Nonostante siano molti gli articoli che non aderiscono a nessuna di queste due posizioni, in tutti si rinviene un rimando a esse, per discostarsene e per motivare la propria visione - a dimostrazione del fatto che sono ancora radicate e potenti nell'opinione comune.
La radicalizzazione delle opinioni e la riduzione del dibattito ad accuse reciproche alimentano la falsa conoscenza e rendono gradualmente e inesorabilmente l’oggetto del contendere il fantasma di se stesso: cane e essere umano in quanto soggetti spariscono, travolti dalla lotta verbale in cui ciascuno vuole annullare l’altro e il problema, enorme, delle aggressioni va in frantumi. Imprigionati nella tifoseria delle opinioni e nella convinzione di essere dalla parte giusta della barricata, non vediamo. Sia il cane sia gli esseri umani, anche se in misure e modi molto diversi, sono soli in uno sfondo buio e nebbioso.
In altre parole, è mia convinzione che non si possa parlare di nulla se prima non si compie il grande sforzo intellettuale ed emotivo di resistere alla tentazione, molto contemporanea, di tifare per uno tra due punti di vista e, soprattutto, di elevarsi al di sopra della semplificazione che la polarizzazione porta in sé e con sé. Collocarsi in questo modo di vedere le cose non significa farsi sopraffare dalla intricata stratificazione di correlazioni, cause ed effetti, né giustificare tutto e non cercare una soluzione. Significa soltanto non semplificare.
Uscendo dalla teoria, faccio un esempio concreto di applicazione di questo affrancamento rispetto alle affermazioni apodittiche menzionate sopra. Se le osserviamo ponendoci al di sopra di entrambe, come se si osservasse una stella attraverso il telescopio o una goccia d'acqua al microscopio, ci accorgeremo che in questa semplificazione abitano sia un errore cognitivo-culturale sia, in un certo senso, un po' di verità. E da questa consapevolezza, che necessariamente giunge ed è sostenuta dalla conoscenza o, prima o in assenza di essa, dalla curiosità e dal dubbio, si può intraprendere il percorso che porta alla maggiore approssimazione possibile a una posizione di equilibrio.
Inizio dalla prima affermazione: alcune razze sono cattive/aggressive/pericolose - è necessaria una lista che le identifichi (ho trovato proprio oggi alcuni articoli che la rimpiangono).
La selezione che la nostra specie da sempre esercita sul Canis Lupus Familiaris ha sempre avuto l'unico obiettivo di creare cani docili/addestrabili e dotati di vocazioni e attitudini (1) adatte alla collaborazione nel lavoro con noi. La partecipazione alle nostre attività si è applicata a un'ampia gamma di compiti: dalla gestione delle greggi e delle mandrie, alla guerra, alla difesa della proprietà, alla caccia, ai combattimenti contro altri animali, fino ad arrivare ai giorni nostri, che sembrano prediligere criteri più estetici che funzionali. (2) Il filo rosso che unisce tutte le diverse razze e le loro caratteristiche è costituito, in ogni caso, dall'intervento e dalle scelte dell'essere umano.
E' dunque vero che esistono razze selezionate per svolgere determinati compiti, per i quali è necessario siano dotate di specifiche caratteristiche, anche fisiche, che se non soddisfatte, modulate e incanalate possono creare problemi a noi e agli altri cani o animali in generale. E' vero anche, tuttavia, che razze selezionate per altri tipi di lavoro e dotate di caratteristiche diverse, meno possenti fisicamente, possono rivelarsi, alle medesime condizioni, altrettanto problematiche.
Genericamente parlando, poiché le razze non sono un copia incolla di individui ma popolazioni, un maremmano che vive in città (dove non dovrebbe vivere) e che non ha la possibilità di esprimere in modo adeguato ed equilibrato le motivazioni (3) che lo caratterizzano - ad esempio difesa del territorio occupato dalla sua famiglia e difesa della stessa - o che, al contrario, viene lasciato libero di decidere come, quando e quanto occuparsi di ciò che considera parte del suo gruppo affiliativo (cosa che è in grado, può e deve fare sui prati o gli alpeggi con le pecore), sarà con buona probabilità un individuo che crea problemi o pericoloso. Anche un border collie o un pastore tedesco, con elevate vocazione e attitudine al movimento, alla collaborazione con l'essere umano, a portare a compimento un lavoro, nelle stesse condizioni ipotizzate sopra, nonostante la differenza di taglia e di potenza fisica rispetto a un pastore maremmano, potrebbero rivelarsi un problema o un pericolo (4).
Quindi qual è la differenza tra le razze sopra menzionate a titolo di esempio? Dunque tutte le razze sono o possono essere pericolose?
Approssimativamente, molti o alcuni individui appartenenti a tutte le razze possono essere pericolosi a causa dell'ambiente, dello stile di vita e del tipo di relazione nei quali li facciamo vivere.
Uno dei grandi errori in cui si cade concentrandoci sulla razza è l'esclusione di tutti questi fattori: i cani domestici non sono come i cani che vivono liberi (che rappresentano tra l'80 e l'85% di tutti i cani presenti sulla Terra) e che quindi si autodeterminano, ma condividono la loro esistenza con noi, in un ambiente completamente antropizzato, dipendendo dalle nostre decisioni in ogni aspetto della loro vita (quando e cosa mangiare; quando, per quanto tempo e dove uscire in passeggiata; dove riposare; quando e come giocare, se e con chi accoppiarsi etc etc) e dovendosi allineare al nostro stile relazionale. Questi elementi sono letteralmente di vitale importanza perché su di essi si può agire tramite la prevenzione e l'intervento educativo. Davvero pensiamo di non essere coprotagonisti e corresponsabili dei comportamenti del nostro cane?
Su questo argomento ci soffermeremo nel prossimo e ultimo articolo, giacché il senso di corresponsabilità si declina nella pratica in molti modi.
Tornando a focalizzarci esclusivamente sul cane, il grado di pericolosità dipende non solo dalla taglia (un rottweiler o un bullmastiff sono, a determinate condizioni, pericolosi per tutti; un piccolo chihuahua è innocuo per un adulto ma non per un infante o un bambino che gattona), ma anche dalla potenza sviluppata dal morso. Per rendere l'idea, il morso di un pitbull esercita una pressione di 300 kg per cm2, quello di un labrador di 70 kg per cm2 e quello di un rottweiler di 140 kg per cm2. (5)
Un ulteriore elemento di grande importanza è costituito dal tipo di morso, che va messo in relazione a taglia e potenza: una presa (quando il cane prende la mano o il braccio in bocca e fa semplicemente sentire i denti - significa: fermati, basta così) non lascia traccia; il morso controllato lascia un ematoma; il morso forte può provocare, a seconda che sia trattenuto o seguito da scuotimento, dalla perforazione del muscolo alla frattura di un osso.
La grande discriminante fra i vari tipi di morso è tuttavia l'intenzione che muove il cane, che può essere sociale o non sociale. Il morso che ha lo scopo di procurare un danno all'altro, anche mortale, non è, ovviamente, sociale.
L'aggressività fa parte dell'etogramma della specie Canis Lupus Familiaris e ha una funzione comunicativa esattamente come qualunque altro comportamento. E' facile quindi capire che, tra quelli elencati a titolo di esempio, la presa è estremamente comunicativa, così come il morso controllato. Ovviamente non sto insinuando che se ci fanno un bel livido va bene perché stanno comunicando: sto affermando che esistono molti comportamenti impositivi e aggressivi, che non sono finalizzati a mordere, che se non conosciamo non siamo capaci di vedere e soprattutto tendiamo a sottovalutare o non tollerare (come il ringhio), favorendo quindi l'insorgere delle condizioni che portano alcuni cani a mordere (6).
Prendere in considerazione la comunicazione, l'intenzione, l'ambiente, il tipo e lo stile di relazione che instauriamo con i nostri cani, il nostro ruolo e il grado di conoscenza che possediamo riguardo l'etogramma della loro specie, ci porta al secondo elemento della polarizzazione: "è colpa dei proprietari/non esistono cani cattivi ma cattivi proprietari".
Sebbene esistano persone che vessano, maltrattano, abusano, torturano i propri cani (e non solo), per le quali l'aggettivo 'cattivo' è un eufemismo, trovo che non ci si possa riferire a tutte le altre utilizzando il termine 'cattivi' ma che si debba parlare di ignoranza, noncuranza e soprattutto di proiezioni e altri tipi di meccanismi e derive psicologici, oltre che cognitivi. Anche per questo motivo, all'inizio dell'articolo Tentativi di (ri)costruzione ho auspicato che sul tema aggressioni canine e sui cani in generale studiosi di varie discipline, tra le quali la psicologia, si riuniscano per individuare e indagare questa materia così complessa rappresentata dalla convivenza fra noi e gli altri animali. (7)
Identifico in una triade di elementi la condizione essenziale affinché non si sviluppino conflitti fra cane e proprietario: adeguatezza dell'ambiente e dello stile di vita rispetto al cane che si è scelto; stile di relazione tendente all'equilibrio; conoscenza dell'etogramma di specie e dell'individuo che vive con noi in particolare. Se questa triade è soddisfatta siamo al riparo non dai contrasti e dagli attriti, giacché sono presenti in ogni relazione e convivenza, ma dalla possibilità che si sviluppino conflitti pericolosi in cui il cane utilizza la bocca per fare male. Se. al contrario, connotiamo quella triade di noncuranza o sopraffazione, allora il patto interspecifico si rompe e si entra in guerra.
Questa immagine (8) rappresenta un ottimo esempio di cosa significa non conoscere l'etogramma di specie e le esigenze specifiche del nostro cane:
Etogramma di specie: il comportamento del rottweiler (sì, anche le espressioni facciali sono comportamenti, così come le posture e le posizioni) per quanto possa apparire spaventoso (arriccia il naso, solleva le labbra, mostra i denti, ha la bocca serrata e lo sguardo duro) si colloca ancora nell'area comunicativa e sociale dell'aggressività. Questo cane sta dicendo non ti voglio così vicino, non voglio che mi baci. Il motivo per cui stia immobile in un terra scosciato è solo ipotizzabile, trattandosi di una foto: probabilmente chi la sta scattando ha dato il comando resta/fermo. Non è questo il punto tuttavia.
Esigenze specifiche di quel cane specifico: è questo il punto, sul quale educatori/istruttori e addestratori (non tutti) dissentono - il motivo per cui, nonostante ciò che sta dicendo il cane, quella bambina stia lì. Il rottweiler, genericamente parlando, ama il contatto fisico con le persone di famiglia: questo individuo, almeno in quel preciso momento immortalato, no. Perché esasperarlo e rischiare che le cose degenerino? Ascoltarlo e comportarsi di conseguenza, come si fa o si dovrebbe fare tra umani, significherebbe farsi dominare? Dargliela vinta? Ancora: è possibile condurre le cose in modo da non fare arrivare il cane a provare quella irritazione?
Di questo genere di cose tratterò nel prossimo e ultimo articolo.
Alessandra Scudella
Note:
Foto: Matt Mahurin www.mattmahurin.com
(1) Vocazione è la predisposizione, l'inclinazione a compiere azioni che hanno ovviamente uno scopo: ad esempio correre, annusare, inseguire, scavare. Attitudine è la capacità di mettere in atto quei comportamenti, resa possibile da strumenti quali l'assetto emozionale, la struttura corporea, l'organizzazione motoria.
(2) L'obiettivo dell'allevamento è molto cambiato nei secoli e per quanto riguarda la selezione delle razze, attività che risale all'epoca vittoriana, sempre più peso ha avuto il criterio estetico, tanto che da molti anni ormai per alcune razze si parla di maltrattamento genetico. Si vede ad esempio a quali cambiamenti è stato sottoposto il Pastore tedesco esclusivamente per molto opinabili motivi estetici:
(3) Motivazione è un insieme di elementi cognitivi, emotivi e fisici che orientano l'individuo nel mondo al fine di conseguire scopi precisi attraverso comportamenti, cioè azioni: ad esempio la motivazione a difendere qualcosa o qualcuno è costituita di un determinato assetto emotivo, di rappresentazioni mentali e operazioni cognitive, di comportamenti motori.
(4) La semplificazione cui ho sottoposto l'argomento razze è imbarazzante, ma funzionale allo scopo di questo articolo. Un paio di precisazioni, anche se scarne, sono però necessarie. La genetica costituisce più una "promessa" che una struttura indeformabile dentro la quale ogni specie può muoversi: è ovvio che le dotazioni fisiche, emotive e cognitive sono specie specifiche (altrimenti non ci sarebbe differenza tra un elefante e uno scimpanzé) ma questo non significa che il range di comportamenti, assetti emotivi e cognizione sia stabilito da un determinismo genetico. Epigenesi, ontogenesi e trasmissioni culturali hanno un ruolo enorme nella vita dei cani e degli animali.
(Ciò che concorre alla formazione dell'individuo è: la genetica, cioè il patrimonio ereditario della specie e familiare; l'epigenetica, ovvero le informazioni di sviluppo dell'ambiente sul genoma (come l'ambiente influisce sul DNA); l'ontogenetica, ossia l'apprendimento, già dall'ambiente intrauterino)
Secondo un recentissimo studio statunitense https://www.science.org/doi/10.1126/science.abk0639 "La razza offre poco valore predittivo per gli individui, spiegando solo il 9% della variazione nel comportamento. Per tratti più ereditabili e più differenziati dalla razza, come la docilità (reattività alla direzione e ai comandi), conoscere l'ascendenza della razza può rendere le previsioni comportamentali un po' più accurate. Per i tratti meno ereditari e meno differenziati dalla razza, come la soglia agonistica (la facilità con cui un cane viene provocato da stimoli spaventosi o scomodi), la razza è quasi priva di informazioni”.
Resta tuttavia il peso della selezione artificiale che esercitiamo con l'allevamento, attraverso la quale molto spesso creiamo ipertipi, cioè individui che hanno alcune caratteristiche, fisiche e caratteriali perché è impossibile scindere i due aspetti, sviluppate fino all'eccesso. In questi casi non solo l'aspetto fisico ma anche i comportamenti risultano fuori scala e facilmente passibili di derive. Se si vuole avere un'idea di quello che ormai viene definito maltrattamento genetico, si veda ad esempio www.societaitalianarottweiler.it l'articolo Ipertipo o ipotipo? No grazie! Preferisco il tipo (scelta non casuale, la mia Olga è una rottweiler tipo); www.keblog,it/razze-cani-confronto-100-anni-fa-oggi/ .
(5) Da "Epidemiologia dell'aggressività. La valutazione del rischio" di C. Ciceroni , MVC. Secondo altre fonti, il range di pressione per cm2 va da 100 a 450 kg.
(6) Sull'aggressività segnalo un paio di articoli:
https://www.sciencedaily.com/releases/2021/05/210503104801.htm "Uno studio condotto presso l'Università di Helsinki su circa 9.000 cani ha dimostrato che la paura, l'età, la razza, la compagnia di altri membri della stessa specie e l'esperienza precedente del proprietario con i cani sono associati al comportamento aggressivo nei confronti degli esseri umani. I risultati possono potenzialmente fornire strumenti per comprendere e prevenire comportamenti aggressivi."
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34679928/ "Nonostante numerosi studi epidemiologici abbiano analizzato i diversi fattori che influenzano il verificarsi di tali eventi, ad oggi il ruolo delle emozioni nell’espressione degli attacchi predatori nei confronti dell’uomo è stato scarsamente indagato. Questo articolo si concentra sull’influenza degli stati emotivi nell’innescare attacchi predatori nei cani, in particolare in alcune razze la cui aggressività causa gravi conseguenze alle vittime umane."
(7) Su questo aspetto suggerisco la lettura di due articoli in particolare:
https://www.dogsportal.it/cani-liberi-ne-parliamo-con-Michele-Minunno in cui Michele Minunno afferma che "Il cane sta diventando una deviazione, un prodotto che a suo modo porta anche ad alterare gli equilibri sociali. Si cercano nei cani caratteristiche adatte a forme di relazione che sono più dipendenti, perché è ciò che la società richiede oggi"
https://www.dogsportal.it/quando-i-cani-mordono-tra-equilibrio-genetica-e-relazione in cui Michele Minunno afferma che "ci sono situazioni in cui la presenza dell'animale bilancia bisogni umani e questo crea nel cane un forte disagio. L'esempio dell'attaccamento all'umano è comprensibile in un cucciolo, ma non in un cane adulto che può arrivare a voler allontanare chiunque, anche con il morso, dal suo 'oggetto di interesse'. Questa è una dinamica sociale spesso alimentata dai proprietari stessi che sono appagati da questi comportamenti di possessività". L'intervista si riferisce allo studio che potete reperire in https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34679928/
(8) Dal web