It's me

Mario Miccoli, Uomo cane, olio su cassetta di legno.

"Anerkuon ASD" è un'associazione sportiva dilettantistica il cui obiettivo principale è la qualità di vita delle persone e dei cani."

Solo come un cane - gli effetti della polarizzazione in cinofilia

L'inasprimento della disputa tra addestratori ed educatori, per molti anni latente e celata e ultimamente resa manifesta e spesso messa strumentalmente in relazione con le recenti aggressioni di cani a esseri umani, sta producendo molti danni: la divulgazione della conoscenza, requisito basilare per creare consapevolezza e responsabilità nei proprietari, richiede un clima pacato e disponibilità al confronto, che l'agonismo e la competizione certo non favoriscono.

A causa delle aggressioni avvenute nei primi mesi di quest'anno, si è infatti ravvivata in modo violento una delle più antiche polemiche che dividono i due grandi approcci cinofili - quella tra collare a strozzo e pettorina. Mentre in passato lo scontro si limitava prevalentemente alla predilezione e alla critica di uno o dell'altro strumento, assistiamo adesso a un ampliamento degli argomenti su cui si esercita il contrasto: non soltanto gli strumenti ma anche e soprattutto la 'filosofia' e l'efficacia dell'una e dell'altra modalità di lavorare con i cani e i loro proprietari.

Al netto dei toni spesso beceri e volgari, la considero una fortuna perché finalmente possiamo smettere di focalizzarci su questioni sì rilevanti ma subordinate rispetto alla struttura di pensiero che le sostiene e le motiva: come ciascuno dei due 'schieramenti' si pone nei confronti del cane e dell'essere umano. Per evitare equivoci e fraintendimenti, preciso che mi esprimo in termini così generali da apparire quasi trancianti unicamente perché cerco di osservare questo aspetto della polarizzazione dal punto di vista di chi di cani non sa molto, non ci vive, oppure ci vive e vorrebbe orientarsi. Se si osserva la bagarre sui social da questa prospettiva, davvero si rimane spaesati.

Le strutture di pensiero sono essenzialmente due: cosa noi umani possiamo fare ai cani in termini di potere e di volontà, da una parte, e in termini etici e morali dall'altra. Questi gli estremi. In mezzo, tutte le mescolanze e gradazioni possibili.

Per essere più chiara: la differenza sta nell'idea che si ha del cane, che esprime implicitamente una visione del mondo: gerarchica vs eterarchica. (1) La convivenza e la 'gestione' del cane di tipo gerarchico rende oggettivi diversi concetti, che vanno dalla certezza che noi umani siamo in cima alla piramide evolutiva e che quindi tutti gli animali siano al nostro servizio, alla convinzione che si possa convivere con un cane solo se lo mettiamo sotto il nostro totale controllo. La convivenza di tipo eterarchico rende concreti altri tipi di concetti: dalla convinzione che l'evoluzione delle specie sulla Terra non è di tipo piramidale ma a cespuglio e che quindi non ha senso ritenersi padroni onnipotenti delle forme viventi che abitano il pianeta, alla considerazione del cane come membro della famiglia.

Le due visioni non hanno pari valore, non sono ugualmente legittime: tutti gli studi sull'evoluzione da decenni concordano nel concludere che le specie, inclusa la nostra, si sono succedute seguendo uno schema a cespuglio. (2) Da questa conoscenza non dovrebbe dunque discendere una visione gerarchica della convivenza con il cane. Non dovrebbe nemmeno dedursi una concezione paritaria del cane, sia perché vivendo con noi ha perso ogni possibilità di autodeterminazione (che invece mantengono i cani che vivono liberi), sia perché non apparteniamo alla stessa specie. La relazione domestica interspecifica è cioè per definizione asimmetrica.

In questa dimensione asimmetrica si gioca tutto, perché la vera, grande discriminante non è la conoscenza che abbiamo (di cui non sminuisco né il valore né l'imprescindibilità), ma ciò che siamo: nello svolgimento del mio lavoro ho incontrato persone di alto livello socio-culturale ma impreparate e anche incapaci di riconoscere l'altro, e persone di livello socio-culturale basso ma capaci di porsi in una prospettiva che non faceva parte del loro bagaglio non solo culturale ma anche esperienziale.

Ciò che siamo ci conduce all'uno o all'altro estremo - strozzare, punire, tenere sempre sotto costante controllo il nostro cane, oppure lasciare che si autodetermini o sottovalutare le situazioni.

All'uno e all'altro profilo, in una gamma di variazioni pressoché infinita, si aggiunge, sovrappone o giustappone la conoscenza: questa mescolanza, in un addestratore o in un educatore, può diventare pericolosa.

Alla luce di quanto sopra, risulta quindi impensabile che un addestratore o un educatore cambino il loro modo di lavorare. E' tuttavia possibile adoperarsi, attraverso la divulgazione scientifica e la sensibilizzazione, affinché coloro che si collocano agli estremi siano sempre meno numerosi, giacché strozzi, collari elettrici, strattonamenti, sollevamenti e punizioni si configurano come maltrattamenti e abusi (e non si capisce perché non siano puniti) e cani lasciati liberi nei boschi o per strada che predano selvatici o rincorrono passanti sono comportamenti gravi e incivili.

Io sono un educatore e un istruttore, dunque la mia collocazione nel mondo della cinofilia (ormai molto poco 'filia' e forse anche 'cino') è palese; pure, nel corso degli anni ho quasi azzerato la mia ostilità nei confronti degli addestratori, sia alla luce di quanto detto sopra sia perché ne ho conosciuti alcuni, dei quali non condivido la visione del cane ma riconosco l'attenzione e la dedizione nei confronti del cane e del suo benessere (sì, non usano strozzo né coercizione) e soprattutto il fatto che si siano aggiornati studiando autonomamente e presso corsi universitari.

Sono invece sempre più irritata, addolorata e sbalordita dal fatto che alcuni o molti, non saprei dire, continuino a vessare i cani dei loro clienti. Persino vantandosi di non avere alcuna preparazione, se non quella del talento e dell'esperienza. Credo che a loro non si arriverà mai a sfiorare né mente né cuore, anche perché dichiarano di lavorare così per il bene dei cani e delle persone. 

Quindi non mi rivolgo a loro, ma ai proprietari che si riferiscono a loro e nemmeno a tutti, perché ritengo che alcuni siano convinti della loro scelta e della bontà del metodo, confondendo il risultato con il percorso e sacrificando al primo il proprio cane; inoltre, ponendo l'elemento tempo di risoluzione del problema come priorità assoluta.

Il danno più grave che questo tipo di addestratori producono consiste nel fatto che con la vessazione e la violenza rendono gestibili cani che molte persone non sono in grado di gestire, che non dovrebbero nemmeno avere. I cani non sono per tutti, non tutti sono in grado di vivere con un cane. Questo modo di lavorare distrugge, inoltre, ogni tentativo di fare informazione pre-adottiva e di educare al rispetto di un essere vivente che si è scelto di inserire nella nostra vita: rispetto che non si deve tradurre nella permissività totale ma nemmeno, santiddio, in scollarate e punizioni anche fisiche continue o frequenti. Il danno consiste nel fatto che i proprietari diventano così aguzzini nella convinzione di fare bene. Non conosco perversione peggiore di questa.

Analogamente, non posso non riconoscere il fatto che nella parte non addestrativa della cinofilia, cioè quella educativa e istruttiva, accade che educatori con poca esperienza si facciano carico di situazioni che non sono in grado di gestire; che il fattore tempo sia poco considerato; che si richiedano un impegno e un cambiamento eccessivi rispetto alle disponibilità, capacità e volontà dei proprietari, che vengono sovra responsabilizzati e in un certo modo subordinati alle esigenze del loro cane.

L'unico strumento valido per mettere i proprietari in condizione di scegliere un approccio o l'altro in modo anche solo leggermente più consapevole, è uno dei nostri sensi: la vista.

Osservate i vostri cani, guardateli. Sono loro a dirvi se il percorso intrapreso è giusto o meno.

Guardateli conoscendo almeno le basi dell'etogramma della specie cui appartengono. I cani non sono nostre estensioni o ominidi ancora quadrupedi e pelosi: sono una specie diversa esattamente come lo sono i leoni, gli elefanti, le balene. Non sono scimmie, non possiamo replicare con loro il nostro modo di comunicare, anche se in realtà è alto il loro livello di comprensione (e tolleranza) nei nostri confronti, essendosi adattati nel corso della coevoluzione con noi al nostro ambiente e ai nostri comportamenti.

Conoscere il significato dei comportamenti (che comprendono espressioni facciali, posture, posizione del corpo nello spazio, movimenti delle orecchie, della coda e delle zampe, stato del pelo) dei nostri cani ci permette, ad esempio, di non confondere paura con "dominanza" (concetto estremamente frainteso), reattività con stress o aggressività, disagio con capriccio (che non esiste) e soprattutto di non sottovalutare le situazioni.

Un cane che abbaia e si lancia contro gli altri cani quando è al guinzaglio, non necessariamente è un cane aggressivo che vorrebbe uccidere tutti. Un cane che salta addosso non è necessariamente un cane che ci vuole dominare o aggredire. Un cane che ci lecca non necessariamente ci dimostra il suo affetto.

Riprendo la fotografia che compare in chiusura dell'articolo Solo come un cane - la polarizzazione  per meglio sottolinearne il significato e suggerire possibili comportamenti che gli adulti potrebbero tenere per interrompere quella situazione e per non arrivarci in futuro.

 La rottweiler (sì, per me è una femmina!) comunica con comportamenti aggressivi ancora sociali ma intensi (arriccia il naso, solleva le labbra, mostra i denti, ha lo sguardo duro) che non vuole la bambina così vicino, non vuole il contatto viso-muso. ipotizziamo, a fini esemplificativi, che questo genere di contatto sia frequente. Se un giorno questa rottweiler girasse il muso e mordesse in faccia la bambina, di chi sarebbe la responsabilità?

Rispondo sottoponendo alla vostra attenzione altre immagini e altre riflessioni:

La differenza di espressione del terrier rispetto alla rottweiler è evidente. Qui non c'è contatto fisico e la vicinanza non rappresenta un problema per il cane.

Infine, un'ultima immagine sullo stesso tema del contatto (3):

Assistiamo qui al piacere reciproco al contatto molto ravvicinato e addirittura all'abbraccio. Il cane ha la bocca morbidamente aperta, non presenta tensione nella parte del corpo coinvolta nell'abbraccio e soprattutto ha lo sguardo dolce.

Perché questi tre cani reagiscono in modo differente al contatto? Intanto perché sono tre individui diversi. Poi, per moltissimi motivi: il loro profilo caratteriale, il modo in cui le persone che vivono con loro li hanno educati a questo tipo di interazione sociale, la scelta del momento corretto in cui richiederlo. Un cane che non ama essere toccato o che raramente si abbandona alle nostre carezze, perché deve essere obbligato e questo livello di vicinanza? Un cane che sta giocando o dormendo, perché dovrebbe reagire serenamente all'essere abbracciato?

Alcuni addestratori risponderebbero che i cani non devono reagire alle richieste degli umani e non devono mai manifestare irritazione, intolleranza o aggressività nei nostri confronti. 

Alcuni educatori e istruttori risponderebbero che i cani vanno rispettati in ogni loro manifestazione. Altri, risponderebbero che è possibile arrivare al contatto fisico rispettando i tempi del cane e portandolo a fidarsi di noi (perché di questo si tratta, quando si è a stretto contatto con qualcuno, di fiducia) attraverso il rispetto della comunicazione e le esperienze condivise.

Prima di arrivare ai comportamenti aggressivi i cani ci informano in molti modi che non gradiscono una determinata azione o attività che compiamo nei loro riguardi: non ammettere reazioni si traduce nel punirle, mentre tenerne conto e comportarsi di conseguenza si traduce nel creare fiducia.

Comportamenti aggressivi intensi e pericolosi seguono, solitamente, incomprensioni e maldestrie di vario tipo tra cane e umano. Per esemplificare questo concetto si osservino queste immagini:

Andare a togliere la palla al beagle e toccare con la mano il meticcio sono azioni che potrebbero facilmente sortire l'effetto, immediato o nel tempo, di indurli a mordere. Gli occhi del beagle dicono 'non ti avvicinare', quelli del meticcio dicono che è impaurito e infastidito dal comportamento del bambino. Entrambi certamente possono essere obbligati a lasciare la palla e a farsi toccare: a patto però che si sia capaci di esercitare questo tipo di controllo e di intervento sul cane sempre, senza distrarsi mai; a patto che non ci siano individui deboli in famiglia come i bambini e gli anziani, sui quali il cane sempre sotto controllo e forzato a fare o non fare potrebbe, in assenza di chi lo tiene sempre d'occhio, scaricare la sua frustrazione. Al contrario, ad entrambi i cani è possibile fare capire che non hanno bisogno di difendersi da noi. Non togliere la palla al beagle e allontanare il bambino dal meticcio sono azioni semplici, che non diminuiscono il nostro essere Sapiens Sapiens, né dicono al cane che è il padrone e il capo. I cani non hanno lo scopo di dominarci e di ridurci in schiavitù perché, loro sì, ragionano in modo eterarchico e non gerarchico, posizionandosi in un gruppo familiare in base al ruolo e alle capacità e allineandosi alle scelte del leader, che non ha bisogno dunque di essere un tiranno (e che non è detto sia sempre lo stesso, perché varia in base alle attività che si fanno). Discriminare in quali occasioni ascoltare il cane e in quali altre invece farsi ascoltare da lui è una competenza che si acquisisce lavorando insieme a un istruttore.

Di solito gli addestratori che utilizzano metodi violenti e coercitivi a questo punto deridono e lanciano una sfida agli istruttori: non avete mai lavorato con cani veramente aggressivi, parlate senza sapere, non siete capaci.

Non parlate con noi (nonostante siano molti gli istruttori che lavorano con cani veramente aggressivi), giacché non ci considerate interlocutori. Recatevi nei luoghi in cui i vostri colleghi lavorano con questi cani senza prenderli a calci, senza strozzarli, senza esercitare violenza.

Ciascuno quindi si chieda se pensa di essere in cima alla piramide evolutiva; se ritiene che i cani siano al nostro servizio e debbano soddisfare ogni nostro bisogno; se pensa in termini gerarchici; se crede che l'asimmetria della relazione interspecifica si traduca nel potere assoluto dell'essere umano sul cane.

Oppure no.

 

Alessandra Scudella

 

Note:

Foto: Matt Mahurin www.mattmahurin.com

(1) L'eterarchia, a differenza della gerarchia che è basata su relazioni di dipendenza, è invece basata su relazioni di interdipendenza. L'organizzazione eterarchica implica un minimo di organizzazione gerarchica e un massimo di diversità organizzazionale. Fonte: http://www.complexitec.org/doc/Formazione_MD/CorsoGR_S/R_S4.pdf

"L'eterarchia (greco heteros (altro) e Arckhein (ordine), che significa originariamente 'comando dell'altro') è un sistema organizzativo che differisce dalla gerarchia perché promuove l'interrelazione e la cooperazione tra i membri piuttosto che una struttura dal basso verso l'alto. Le strutture sociali all'interno del sistema si sovrappongono e si intersecano; i legami tra i membri sono molteplici e l'ascendenza è indebolita da questa molteplicità di legami. Per Serge Moscovici 'l'eterarchia suppone insomma un'organizzazione decentralizzata, trasformabile da coloro che sono gli attori, pronta a modellarsi a piacimento dei suoi autori, intesa sempre a salvaguardare un certo grado di libertà e iniziativa con il sostegno che essa dà a tutte le frazioni che la compongono'. 

Questa nozione introdotta da Warren McCulloch nel 1945 fu usata da Wilson del 1988 per descrivere i meccanismi di comunicazione in una colonia di formiche. La definizione varia a seconda delle discipline: nelle scienze sociali, l'eterarchia è una struttura organizzativa sotto forma di una rete di cooperazione senza subordinazione dove ogni elemento condivide la stessa posizione 'orizzontale' di potere e autorità: in teoria ogni attore interpreta un ruolo ugale" Fonte: https://it.frwiki.wiki/wiki/H%C3%A9t%C3%A9rarchie

 

(2) "Al modello di evoluzione lineare - che prevede la lenta trasformazione delle specie in altre specie, a partire da un antenato arcaico e poi via via attraverso gli australopiteci e tutte le varie forme di Homo fino a noi Sapiens - si è andato sostituendo quello suggerito da Stephen Jay Gould di evoluzione a cespuglio [...] L'ipotesi del cespuglio contempla la convivenza di più forme e ciò corrisponde esattamente a quanto si osserva nella serie fossile: più specie di australopiteci erano convissute fra loro e con il keniantropo, i parantropi poi erano convissuti con alcune specie di Homo e da ultimo innumerevoli specie del nostro genere erano convissute insieme. Il cespuglio è considerato ormai l'unica raffigurazione topografica in grado di descrivere la storia degli ominini, ma non c'è un consenso generale sul numero di rami (cioè di specie) che formerebbero i diversi generi." Fonte: https://www.treccani.it/enciclopedia/dall-antropologia-fisica-all-antropologia-genetica-il-dibattito-sull-evoluzione-umana_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/

 

(3) Fotografia di Michael Jastremski

Le altre foto sono tratte dal web

 

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